PRESENTAZIONE LIBRO “TRAME VERTICALI”
Libreria Scritti e Manoscritti, Ladispoli, 16 marzo 2019
Sabato 16 marzo presso la storica libreria ‘Scritti e Manoscritti’ di Ladispoli, si è svolta la presentazione del libro "Trame verticali" promossa da Edizioni Il Lupo.
Questa libreria, vero punto di riferimento della città di Ladispoli per gli incontri che vi si svolgono (autori come Erri De Luca, Dacia Maraini, Enrico Letta, Tiziana Ferrario, Veronica Pivetti, Maurizio De Giovanni, Paolo Giordano, Catena Fiorello e tanti altri ne sono stati ospiti), era abitualmente frequentata da Roberto Iannilli dove è ricordato anche come copioso dispensatore di pubblicazioni acquistate e generosamente regalate agli amici.
Dopo le parole di benvenuto indirizzate ai circa 50 presenti dalla titolare, Irene Scritti Donini, ha preso la parola Alberto Osti Guerrazzi portando la testimonianza dell'editore sull'iniziativa.
Roberto Colacchia, presidente facente funzione dell’Associazione alpinisti del Gran Sasso, ha illustrato i fatti che hanno preceduto la decisione di creare il Premio letterario intitolato appunto a Roberto Iannilli e l’iter della sua prima edizione, accennando ai contenuti delle più significative opere classificate, raccolte nel libro ‘Trame verticali’.
Un pubblico attento, tra cui la moglie di Roberto, Patrizia Perilli, e il fratello Franco, ha seguito la presentazione dall'inizio alla fine, mostrando interesse con domande e numerosi interventi.
Erano presenti anche alcuni dei giovani compagni di cordata di Roberto, già visti in occasione delle precedenti iniziative per ricordarlo: alla fine Alberto Osti si è congratulato per la riuscita della serata e la vendita d’una ventina di copie del libro.
Di seguito il testo integrale della presentazione di Roberto Colacchia, poi in reatà fatta a braccio e senza seguirlo che in minima parte.
La titolare Irene Scritti Donini, presenta la serata con Alberto Osti Guerrazzi
“Il libro che sarà presentato questa sera è il primo visibile risultato della decisione presa nell’autunno 2015 dal Direttivo della mia associazione di creare un premio letterario 'Alpinisti del Gran Sasso' sui temi dell’alpinismo e del rapporto tra uomo e montagna. Eravamo a Vicovaro per una riunione del Gruppo di Coordinamento dell’Associazione, e fu proprio in quella occasione che Roberto Iannilli fu nominato presidente, subentrando all’Accademico del CAI Franco Cravino che la guidò fin dalla sua costituzione nel lontano 2003.
Il rapporto dell’uomo con la montagna doveva ispirare le opere dei partecipanti traducendosi in racconti reali o di fantasia legati a episodi ed esperienze attinenti a figure di alpinisti, a riflessioni filosofiche, scientifiche o esistenziali relative all’alpinismo e alle attività svolte in montagna. Consigliabile, ma non obbligatorio, il riferimento a monti dell’Appennino e al Gran Sasso.
La tragica scomparsa di Roberto, caduto il 19 luglio 2016 assieme a Luca D'Andrea nel tentativo di aprire una nuova via sulla parete Nord del Monte Camicia, ha colpito al cuore l’Associazione e non è stata senza conseguenze anche per il percorso dell’iniziativa letteraria. A meno di dieci mesi dalla sua istituzione, la rassegna perdeva uno dei suoi principali sostenitori, ma proprio quel tristissimo evento rafforzò la volontà di realizzarla, re-intitolandola com’era giusto a chi era stato sempre convinto che il “Corno Monte” rappresentasse un punto di riferimento ideale per chi pratica l’alpinismo nell’Italia peninsulare e che l’Associazione potesse costituire il punto d’incontro tra le vecchie e le nuove generazioni degli alpinisti d’Appennino.
ROBERTO ALPINISTA
Chi era il Roberto alpinista? Molti di Voi già ne conoscono le imprese, ma a beneficio di tutti lo farò usando le sue stesse parole:
<<E’ stato l’amore sempre avuto per la montagna che mi ha condotto inevitabilmente ad essere scalatore, pratica che ho però iniziato, quando, ormai quasi trentenne, decisi di frequentare un corso di roccia della cooperativa “La Montagna”>>.
Aggiungeva: <<Fare alpinismo è per me essere vivo, sentire me stesso, misurarmi, definire i miei limiti e cercare di migliorarli, comprendere di cosa sono fatto, capire la mia vulnerabilità, dare un senso a questa mia esistenza>>.
E sul modo di vivere la montagna:
<<L’ alpinismo è il modo con cui posso vivere in pieno la montagna, un’alpinismo non inteso come passaggio, ma come “permanenza”, anche se sempre limitata alle possibilità umane. Non mi piace correre, mi piace sentirmi parte dell’ambiente, piccolissimo ed insignificante particolare della montagna, per questo apprezzo bivaccare in parete>>.
Sensazioni introspettive e motivazioni che chi ama la montagna e la pratica comprende e sente proprie.
Roberto, per sua formazione e carattere, cercava il lato creativo dell'alpinismo, scoprendo inedite linee di arrampicata e dando vita a nuovi impensabili itinerari.
Una persona speciale e speciale era il suo attaccamento al Gran Sasso, la sua montagna. Viveva l’alpinismo con serietà e sapienza, il desiderio di conquistare un posto nella storia dell’alpinismo, o trovare in questo la risposta per soddisfare l’istinto verso epiche imprese, non lo toccava.
Anche le parole scritte da Marco Dell’Omo nel capitolo “Subcomandante Roberto” del suo libro “I conquistatori del Gran Sasso”, pubblicato nel 2005 da CDA & Vivalda Editori, ne descrivono bene le caratteristiche di uomo e di alpinista.
L’autore esordisce col rappresentare l’incongruenza del suo luogo di nascita, Cerveteri, e di residenza, Ladispoli, località di mare lontana dalle montagne a cui avrebbe dedicato tanta parte della sua vita. Scrive Dell’Omo:
<<Le montagne, da Roma, non sono poi così lontane…. Facile farsi prendere dal desiderio di andarle a vedere da vicino. A Ladispoli, invece, c’è la spiaggia, c’è la via Aurelia che punta dritta verso la Maremma, ci sono i dolci rilievi delle colline etrusche, ma di neve, roccia, vette aguzze nemmeno l’ombra, neanche in lontananza.
Curioso che il più forte alpinista del Centro Sud di questi ultimi anni, autore di decine di nuove vie nel massiccio abruzzese, sia nato e viva in un posto simile, una sfilza di villette a schiera e seconde case per la villeggiatura sul bordo di uno spiaggione anonimo, dove l’unica attrattiva che si ricordi è stato Carlo Azelio Ciampi che remava sul suo pattino>>.
Ne rappresenta così la passione per le auto da corsa e per la politica:
<<Roberto Iannilli è un signore di mezza età, con una smodata passione per le auto sportive (gira con una Lotus Elise MK2 rossa, modello da corsa) e una fede granitica nel marxismo. Tra le due cose non vede la minima contraddizione.
Piccolo di statura, capelli scuri, temperamento riservato, una volta faceva l’architetto, ma ora ha deciso di dedicarsi ai vigneti che gli ha lasciato il padre. Vive in una mansarda tappezzata di foto di montagna e poster di Che Guevara, gli scaffali della libreria zeppi di modellini di auto sportive (tutte rosse, ovviamente)>>.
Dà Dell’Omo una simpatica spiegazione di quale era la spinta che portava Roberto a salire e scendere le pareti di Corno Grande: <<Non tanto il desiderio di conquistare un posto nella storia dell’alpinismo, né la risposta a pulsioni epiche. No, nel suo caso la vera motivazione era unicamente politica. Roberto interpretava l’alpinismo come uno strumento della lotta di classe…. Il suo contributo alla causa comunista era battezzare il numero più alto di vie con nomi tratti dalla cultura antagonista. Nacquero Demetrio Stratos (con il tiro chiave aperto da Piero Ledda), Il Vento dell’Est, Intifada… Insomma, in un paio d’anni, dall’80 al ’90, sulle rocce calcaree del versante meridionale di Corno Grande cominciò ad aleggiare un’aria da centro sociale>>.
Non a caso l’ultima volta che è stato in Himalaya per aprire vie sulle grandi pareti del tetto del mondo, si è fatto riprendere su una cima mentre sventola una bandiera rossa con la falce e il martello.
Dell’Omo sa cogliere anche i profondi legami che lo univano – e lo uniranno per sempre - a Patrizia e Giuliana, che questa sera sono venute a ricordarlo con noi:
<<Ha una moglie comprensiva, una figlia adolescente e dodici gatti (altrettanti vivono nel casale in collina dove si trasferisce d’estate). Quando non è a scalare, cura la vigna o scende in pista: monta le gomme con la mescola da circuito e inanella giri a Imola o a Vallelunga>>.
Continua Dell’Omo:
<<Roberto non ha certo l’aspetto dell’alpinista eroico. Quando la sera torna a casa, parcheggia la sua Lotus nel garage, ritira la copia del “Manifesto” dalla cassetta della posta e varca il portone. Sale le scale senza fretta, e si direbbe che arrivato in cima abbia un po’ di fiatone. Del resto ha cinquant’anni suonati…
Fino a qualche tempo fa le grandi imprese sulla montagna abruzzese le compivano i giovanissimi: Marsilii e Panza salirono la Nord del Camicia a ventidue anni, a ventiquattro Gigi Mario si avventurò per primo sui pilastri del Paretone, per non parlare di Pierluigi Bini, che aveva sedici anni quando fece la sua prima scalata solitaria.
Oggi i ragazzini vanno a scalare sassi alti non più di quattro metri, figurarsi se qualcuno si fa vedere sulle pareti dell’Appennino.
E così a tenere alta la tradizione dell’alpinismo al Gran Sasso ci pensa Roberto. Ogni estate è sempre lì che si ingegna a trovare nuove vie. Lo spazio a disposizione ormai è poco. Su ogni parete gli itinerari di arrampicata corrono come fili di un’enorme ragnatela. Ma lui non demorde: passa sotto le rocce per fare una passeggiata con la moglie e la figlia, distrattamente alza il capo e vede una fessura, un tetto, una liscia placca; e il giorno dopo ritorna e zac!, apre una nuova via, che poi chissà chi mai andrà a ripetere>>.
Patrizia e Giuliana hanno avuto la fortuna di avere vicino Roberto in montagna e nella vita, un momento purtroppo troppo breve per la smisurata grandezza di Roberto, alpinista, marito e padre. Io purtroppo lo ho conosciuto troppo tardi per poterne scoprire fino in fondo tutte le qualità.
Roberto è stato forse uno degli alpinisti più rappresentativi del Gran Sasso, avendovi aperto oltre 100 vie nuove e avendone ripetuto quasi tutte le vie più impegnative, spesso in solitaria, ne conosceva ogni anfratto. Di questa simbiosi pressoché totale uomo-montagna ancora la testimonianza di Marco Dell’Omo:
<<Durante gli anni novanta, Roberto è stato il più attivo apritore di nuove vie al Gran Sasso, tutte molto difficili e su placche impossibili. Tanto che oggi, quando in parete lontano da un itinerario battuto, brilla isolata qualche piastrina metallica, ogni arrampicatore commenta quasi automaticamente: sarà una via di Iannilli>>.
Non sono solo i riflessi di qualche ancoraggio rimasto in parete, è la sua figura di alpinista di eccezionale livello e dotato di straordinarie doti umane a risplendere: avergli intitolato il concorso letterario è un contributo al ricordo dell’uomo e dei valori in cui ha creduto.
Fuori Europa, durante le spedizioni, tra le 12 vie nuove aperte, ci sono quelle che portano alle vette inviolate dell’ Iris Peak, Tivoli Pak, David’s 62 Nose e Ezio Bartolomei Tower, tutte nello stato dell’ Himachal Pradesh, nell’ Himalaya indiano, nelle valli Miyar e Chandra. Quella che sale al David’s 62 Nose è stata percorsa in solitaria, come l’ ultimo difficile tratto di quella che sale alla vetta del Ezio Bartolomei Tower. Nella Cordillera Blanca, alla prima esperienza extraeuropea, ha aperto la lunga e difficilissima “Hasta luego zorro”, una via che sale la Punta Numa, nel massiccio del Huantzan e, nel 2005, sempre nello stesso gruppo montuoso, è arrivato in vetta al Risco Ajudin, lungo un’ altrettanto dura via nuova. Inattuata è rimasta la terza spedizione nella Cordillera Blanca, con il tentativo di scalare in prima assoluta il vertiginoso spigolo nord di Punta Numa.
Iannilli ha ricevuto numerosi riconoscimenti per le sue scalate. Nel 2002, per la via “Vacanze Romane”, sulla Nord del Monte Camicia, gli è stato assegnato, assieme al suo compagno di scalata Ezio Bartolomei, il premio “Tiziano Cantalamessa”, promosso dalla sezione del Club Alpino Italiano di Ascoli, per la salita più importante in Appennino fino al 2002 compreso.
Il 2002 è stato anche l’anno che lo ha visto premiato come “atleta dell’anno” dall’Assessorato dello Sport del Comune di Ladispoli e il 2003 ha ricevuto il riconoscimento “Premio Baracca Coverciano”, dato annualmente all’atleta che più si è distinto nel comune dove risiede.
Sempre nel 2003 è stato invitato al “Premio Grignetta d’Oro”, rassegna dei migliori alpinisti italiani degli anni 2001/2003 e lo stesso anno ha ricevuto il premio “Sport Incontro Regione Lazio”, per meriti sportivi. Nel 2006, a seguito della spedizione in Cordillera Blanca, ha ricevuto il prestigioso "Riconoscimento Paolo Consiglio" per l' anno 2005, dato alla migliore spedizione extraeuropea non a carattere commerciale e senza sponsorizzazioni importanti.
Nel 2006 è stato di nuovo invitato alla rassegna del “Premio Grignetta d’ Oro” tra i migliori alpinisti italiani per gli anni 2003/2006. Nel 2011 gli è stato assegnato per la seconda volta il
"Riconoscimento Paolo Consiglio", in questo caso per la scalata della punta inviolata Giampiero Capoccia nella Cordillera Blanca.
ROBERTO SCRITTORE
Il valore di Iannilli non è solo quello espresso nell’alpinismo, ma anche quello di scrittore di buon livello, che ha saputo magistralmente rappresentare il suo rapporto con la montagna.
Sapeva scandagliare nel profondo dell’anima la sua passione per la montagna e per l’avventura, rappresentandole con efficacia nei molti scritti che ci ha lasciato, a volte venati di sottile ironia. Sensazioni introspettive e motivazioni che Roberto sapeva esprimere con efficacia nei suoi libri.
Roberto ha lasciato moltissimi scritti. Leggerli significa averlo sempre vicino ed essere partecipi dell'entusiasmante percorso della sua vita, spesa come ogni vero alpinista vorrebbe. Il senso di solitudine che ha lasciato dietro di sé paradossalmente si ritrova nel saper lui cogliere nella solitudine la sintesi delle sensazioni che riceveva dalla interazione con la montagna. Nel 2009, commentando la via “Senza perdere la tenerezza”, aperta in solitaria superando gli strapiombi gialli sotto il "Pancione" di Cavalcare la Tigre, definisce come "bolla del solitario" quella che protegge lo scalatore da qualsiasi interferenza e gli permette di concentrarsi esclusivamente sui meccanismi della salita, restringendo il mondo soltanto al tiro che si sta salendo. E' una sensazione che si esalta nella disciplina dell'arrampicata artificiale, che impone tempi lunghi ed estrema attenzione ai dettagli. Roberto la esprime come raggiungimento dell'"estasi dell'assoluta meditazione", con un distacco dalla realtà totale, tale da far sentire chi sale come drogato dalle sue stesse azioni. Emozioni e scariche di adrenalina sono una condizione diversa perché "si entra in un mondo parallelo, dove tempo e ragione sono diversi da quelli che conosciamo abitualmente".
Per vivere in pieno la montagna, Roberto vedeva l'alpinismo non come passaggio veloce, ma come "permanenza", anche se con i limiti delle possibilità umane. Amava sentirsi parte dell’ambiente, "piccolissimo ed insignificante particolare della montagna" o meglio "inadeguato e piccolo essere umano al cospetto dell'universo". Per questo considerava il bivacco in parete un modo di vivere forte, vera "apoteosi dell’alpinista che ama la montagna, che la scala per affinità, senza arroganza, con rispetto e passione, consapevole delle dovute misure, della vulnerabilità", un modo di sentirsi completamente inserito nella grandezza della natura:"il mio sangue scorre fluido, il respiro riempie i miei polmoni dell’aria leggera della montagna, mi sembra di sentire ogni singola cellula prendere vigore, sdoppiarsi".
Il libro, credo, da considerare come il più rappresentativo del suo alpinismo sul Gran Sasso, è “Forse accade così – L’alpinismo: un gioco, ma non uno scherzo” e in particolare i capitoli “Bivacco con Ezio” e “Senza perdere la tenerezza”. Quest’ultimo, come prima accennato, è il nome della via - percorsa da solo e con bivacco in parete nel 2009 - che sale diretta le strapiombanti rocce gialle sotto il “Pancione di Cavalcare”, con arrampicata artificiale che Roberto definì delicatissima.
“Senza perdere la tenerezza”, storica espressione del Che, così come tanti altri nomi dati alle sue vie, ricordano la sua visione politica.
Sempre Marco Dell’Omo:
<<Del resto Roberto con la mansarda tappezzata di foto di montagna e poster del “guerrillero heroico” aveva fatto la sintesi dei valori che contavano per lui e quindi del suo programma di vita. Trovava che la frase di Ernesto Che Guevara “Bisogna esser duri senza mai perdere la tenerezza” restasse sempre attuale in una società, come la nostra, che vuole essere solo dura, che mostra il lato arcigno e intollerante e considera la tenerezza una debolezza>>.
Nel suo libro Roberto scriveva: <<Chissà, forse nell’arrampicata riesco a essere anche io duro, almeno quando serve davvero, spero solo di non perdere mai la tenerezza che mi dà la capacità di sentire piacere nel vedere il sole che tramonta dietro la parete, mentre i fringuelli alpini mi danzano intorno, disinteressati a me, come se non fossi un estraneo, ma una creatura del posto come loro>>. Poeta oltre che grande alpinista?
Ma Roberto amava anche la compagnia degli altri e il ritornare in famiglia nel suo prediletto Monte Abatone. In qualche modo, anche in questo caso, voleva lasciare traccia di questo suo sentimento nei nomi che dava alle salite.
Con “Il bosco degli urogalli”, la via nuova aperta in solitaria nel 2008, dopo tre tentativi, lungo gli strapiombi del II° Pilastro di Pizzo d’ Intermesoli con tiri di arrampicata libera di elevata difficoltà (fino al IX°-) accostava quei sentimenti a quelli descritti da Mario Rigoni Stern nei suoi racconti dove protagonisti sono la natura con i suoi boschi e le sue montagne e la povera gente, accomunata dall’essere tutti paesani del mondo, e il pensiero che dalle difficoltà e dalla guerra si può anche non ritornare.
In “Geometrie esistenziali”, la via aperta nell’agosto 2011 con Luca D’Andrea sulla parete Est del Corno Piccolo, Roberto, dopo un bivacco imprevisto a causa di un incidente occorso a Luca, sa descrivere magistralmente il suo ritorno nel caldo abbraccio di casa, contento di non essere più in bilico su una muraglia di roccia, legato per non cadere nel sonno: “Sono a casa mia, sul mio letto e mi sento protetto, al riparo da insidie. Solo poche ore mi dividono dalla notte scorsa, passata con Luca su una minuscola cengia a poche decine di metri dall’ uscita della parete est del Corno Piccolo. Ho ancora dolore dappertutto, le mie spalle il bacino e il collo, risentono delle mille posizioni cambiate per trovare quella meno inaccettabile. Una notte rannicchiato ad aspettare l’alba sul non lontano mare Adriatico, che nero di buio faceva da contrasto alla costa illuminata dalle città piene di gente ignara di noi. Mi fa strano questo mio fantastico letto piatto e largo, mi pare il posto più confortevole della terra, il più sicuro e tranquillo, mi sembra quasi sconvenevole sentirmi così comodo”.
I codici di geometrie esistenziali, quelli che canta Franco Battiato ne “Gli Uccelli” che soli sanno cambiare le prospettive del mondo con le loro traiettorie impercettibili, non sono alla portata dei comuni mortali. Roberto lo sapeva ed era felice di avere ancora una volta impiegato il suo tempo come più desiderava. Scriveva:“Eppure quelle ore vissute con timore ora restano indimenticabili, stampate nel database delle mie emozioni, archiviate per essere ripescate ogni volta che avrò paura di aver sprecato il tempo che ho avuto disposizione su questa terra. Ma anche questo mio letto è un’emozione da non dimenticare, è talmente bello sentirsi a casa propria, accanto a chi ami. Mi giro verso di lei, dorme finalmente serena dopo ieri, questa volta sono tornato con le mie gambe e intero”.
E poi la telefonata:
“Ciao Patrì, sono Giuseppe …”
“Oddio! Che ha combinato questa volta Roberto?” Giuseppe non faceva in tempo a parlare e già tu ti aspettavi il peggio. Avevi già provato a chiamarmi con lo sconfortante risultato di sentire una voce cantilenare: “Il numero selezionato non è al momento raggiungibile!”. Ormai era l’ora, dovevo essere di ritorno, non potevi restare tranquilla.
“No! No! Tutto bene, Roberto è sceso. Gli si e rotto il cellulare e quello di Luca è scarico. Hanno dovuto fare un bivacco imprevisto a causa di un piccolo incidente a Luca che li ha rallentati.”
Se il nostro letto questa sera è per me grande e comodo, per lei è forse un po’ più piccolo ma è analoga l’ impressione di ritrovata quiete”.
ROBERTO IANNILLI E L’ASSOCIAZIONE ALPINISTI DEL GRAN SASSO
Roberto è entrato a far parte della nostra Associazione all’inizio del 2010, quando l’Associazione si chiamava ancora "vecchie glorie del Gran Sasso". Ma perché un alpinista di prima grandezza, affermato e già in possesso di riconoscimenti prestigiosi per le sue scalate, dal premio “Tiziano Cantalamessa” per la via “Vacanze Romane” sulla Nord del Monte Camicia, alla assegnazione per due volte del massimo riconoscimento alpinistico italiano, il premio “Paolo Consiglio”, invitato più volte alla rassegna “Premio Grignetta d’Oro”, riservato ai migliori alpinisti italiani, e tra i dieci finalisti della più alta onorificenza alpinistica internazionale, il “Piolet d’Or”, ha sentito il bisogno di accostarsi ad una associazione di attempati alpinisti in gran parte non più attivi?
Non aveva certo bisogno di altri riconoscimenti avendo portato a termine più di 100 vie nuove sul Gran Sasso, spesso aperte in solitaria – pardon, se slegati oggi si dice free-solo – e sei spedizioni extraeuropee, con il risultato di 12 itinerari nuovi tra Himalaya e Perù, quattro dei quali con arrivo su vette inviolate. Non dodici vie qualsiasi, ma vie di 2000 metri di lunghezza con bivacchi in parete fino a 10 giorni consecutivi, due delle quali salite in solitaria.
Cosa poteva trovare Roberto di così interessante in un piccolo gruppo di alpinisti retrò che avevano arrampicato con attrezzature antidiluviane e scarponi rigidi, dopo aver lui acquisito il dominio delle tecniche e dei mezzi dell’artificiale new-age?
Che esperienza avevano i “vecchiogloriosi” di friends, nuts, cliffs, spits, fifi hooks, rurps ed altre diavolerie su salite dove le protezioni normali non sono possibili e lo scalatore si affida solo ad ancoraggi che sostengono il peso, ma non una caduta?
E poi Roberto aveva già un’estesissima rete di relazioni attraverso i social network e siti internet come Planet Mountain e altri a cui contribuiva per dare riscontro alle attività alpinistiche nelle varie forme.
La prima risposta è la più facile: trovava in quel gruppo di persone una passione smisurata per la montagna, mai spenta, che le aveva portate ai loro tempi ad eccellere nelle realizzazioni alpinistiche, la sua stessa smisurata passione!
La seconda è altrettanto evidente: il piccolo gruppo di alpinisti che aveva immaginato, nel lontano giugno 2003, di creare il Comitato, primo embrione di quella che poi, il 28 maggio 2005, si sarebbe costituita in associazione “vecchieglorie” - mi riferisco soprattutto all’ascolano Francesco Saladini, al romano Franco Cravino e all’aquilano Domerico Alessandri - aveva deciso di circoscrivere lo scopo della conservazione della memoria storica dell’alpinismo al solo gruppo del Gran Sasso. Chi più di Roberto, leggenda vivente di quella montagna, poteva essere interessato?
La terza risiede nel fatto che Iannilli vedeva nei vecchi alpinisti iscritti all’Associazione, qualcuno ancora attivo a 80 anni, i modelli di riferimento e i maestri che aveva imitato nell'attività alpinistica e nella vita.
Nomi come quelli degli aquilani Andrea Bafile, Mimì Alessandri, Stanislao Pietrostefani, dei teramani Lino D’Angelo, Fernando Di Filippo, Gigi Muzii, degli alpinisti romani Giancarlo Castelli, Franco Cravino, Marino Dall’Oglio, Silvio Jovane, Mario e Roberto Lopriore, Massimo Marcheggiani, Gigi Mario, degli alpinisti piceni Francesco Bachetti, Maurizio Calibani, Peppe Fanesi, Marco Florio, Giancarlo Tosti, e del pescarese Giampiero Di Federico, per citarne solo alcuni, hanno costituito il solido riferimento a cui ispirarsi e ne aveva una indescrivibile stima.
Diceva: “Siete voi che avete insegnato a me come andare e dove andare, sono le vostre tracce che io ho seguito per imparare. Sin dalla mia prima venuta tra le Vecchie Glorie mi sono sempre vantato di poter ascoltare persone speciali come voi…”
Entrare a far parte dell’Associazione era stata quindi per lui una scelta ideale, ma si può forse trovare un ulteriore motivo nel fatto che Iannilli, persona colta, sensibile e generosa, sapeva rappresentare agli altri in modo magistrale la sua passione per la montagna e per l’avventura nei molti scritti che ci ha lasciato, spesso venati di sottile ironia. Ne avevo accennato prima.
Inoltre, abituato a partecipare a concorsi e a vedersi assegnati premi per le sue imprese alpinistiche, Roberto sapeva bene come documentarle con foto e film, così come viene richiesto dai regolamenti dei premi, foto e film che diventano essi stessi complemento e parte integrante della rappresentazione.
Trovava quindi in qualche modo nell’Associazione, e nel suo fine principale, il terreno adatto a raccogliere le più significative testimonianze alpinistiche del passato e renderle disponibili attraverso le reti di comunicazione sociale, come esempio per le nuove generazioni.
Non a caso il suo primo impegno, portato avanti con grande dedizione fino al momento della sua scomparsa, è stato quello di creare una pagina facebook dell’Associazione e a postarvi storie e profili dei protagonisti della storia dell’alpinismo sul Gran Sasso già presenti sul sito internet.
Come per Nardi lo sperone Mummery del Nanga Parbat per Roberto l’ossessione era la parete Nord del M. Camicia, il piccolo Eiger degli Appennini.
Tra i suoi scritti mi piace ricordare la tragicamente profetica introduzione che fece per la realizzazione di nuova via, "Inferno con vista", sul Pilastro Montevecchi, che sale il settore della nord sotto il Dente del Lupo, aperta a comando alternato da Gabriele Basile, Cristiano Iurisci e Stefano Supplizi nel 2012.
Non so se il nome della via sia venuto da lui o dai salitori, ma Roberto, immedesimandosi nel divino poeta e nel suo racconto del viaggio agli inferi, si vedeva lui stesso proiettato in quell’ambiente così ostile e incredibile, terreno di avventure sbalorditive, paragonabili alla tenebrosa parete Nord del Camicia.
La Commedia, vista come riuscita invenzione di Dante per vendere quello che è stato il best seller dei suoi tempi, ne scandisce i momenti determinanti:
- il coraggio di superare la porta dell’inferno nonostante la paura che suscita la lettura dei versi del Canto terzo “Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l'etterno dolore, per me si va tra la perduta gente” da paragonare all’attacco della repellente parete dal Fondo della Salsa e alle sue incognite;
- la consapevolezza dei pericoli oggettivi da affrontare nei cerchi infernali come in parete.
Roberto, come Dante, di coraggio ne aveva ed entrò.
Come la grande esperienza sua e di Luca sia stata vinta dalla montagna non lo sapremo mai. Sappiamo però che lui e Luca, su quelle pareti, cercavano quella vita che è più vita.
Uscendo dalla fantastica ricostruzione della Divina Commedia, sosteneva: <<Siamo in pochi a sapere la verità ed io sono uno di quelli, perché ci sono stato. Il signor Dante non si è inventato nulla, quel posto esiste ed è in Abruzzo, sopra il paese di Castelli, sotto la vetta del Monte Camicia. Affacciato sulla piana zeppa di campi coltivati che ondulata declina verso la spiaggia chiara, bagnata dal mar Adriatico. Qui i bagnanti pigliano il sole sereni, inconsapevoli che a pochi chilometri dal loro ombrellone tre di quella schiera di perduta gente, sono impegnati a risalirlo, quell'inferno, speranzosi di “riveder le stelle”. Va bene, esagero, la nord del Monte Camicia non è l’inferno, non è neanche un orco, ma solo una parete alta, grande e su roccia pericolosa, ma è vero che scalarla è una cosa epica, pregna di avventura in un ambiente incredibilmente affascinante, orribilmente affascinante…>>.
Roberto subiva il fascino di quella parete. Non c’è dubbio. Contro la prevalente abitudine di arrampicare sulle difficili, ma ben protette falesie, riteneva che, delle montagne a portata di mano, solo le grandi pareti del Gran Sasso consentivano di affrontare la montagna vera con tutte le sue incognite. In particolare la parete Nord del monte Camicia ha sempre avuto per gli alpinisti del Centro Italia, e Roberto tra questi, un fascino particolare, l'"Orco" che attrae e si fa temere al tempo stesso per isolamento, dislivello e pessima qualità della roccia.
Sul M. Camicia Iannilli era stato più volte: con Ezio Bartolomei nel 1998 aveva salito il Pilastro Nirvana, calandosi dalle balconate dell’anticima per qualche centinaio di metri, e nel 1999, sempre con Ezio, aveva aperto la strepitosa Vacanze romane, che risale l'intera parete partendo dal Fondo della Salsa.
Le salite sono entrambe ben decritte nel libro di Roberto “...forse ACCADE COSI’ - L’Alpinismo: un gioco, ma non uno scherzo”, pubblicato nel 2011 da Alpine Studio nella collana Oltre confine, che rappresenta un po’ la sua prima autobiografia.
La sua passione politica è rimasta immutata fino all’ultimo: due vie nuove aperte con Luca D’Andrea, le ha chiamate ‘Compagni dai campi e dalle officine’ e ‘Lotta di classe’. Sulla prima è uscito postumo il libro edito da Ricerche&Redazioni che è stato presentato a L’Aquila il 16 ottobre 2016 in occasione del Festival della Montagna, che, a seguire, ha visto anche l’assegnazione a Roberto del premio “Targa Alpinisti del Gran Sasso”.
La cupa parete nord dall’intatto fascino sinistro è lì incombente. Roberto e Luca su quella parete cercavano il loro alpinismo, quello che avevano sempre voluto. Non sono più tra la perduta gente, sono tornati per sempre a riveder le stelle. A noi che abbiamo incrociato il percorso della loro vita l’onere e l’onore di ricordarli, anche attraverso l’iniziativa del premio letterario.
Per ragioni di tempo, non vi parlerò a lungo dell’altra iniziativa, di cui Roberto ebbe l’idea originaria, la “Targa alpinisti del Gran Sasso”. Vi dico soltanto che quel riconoscimento, pensato con cadenza biennale, sarebbe andato a una realizzazione alpinistica compiuta o tentata nel gruppo del Gran Sasso (da intendere come ascensione, discesa estrema, operazione di soccorso o altro) tale da esprimere ed esaltare la passione, l’intelligenza, la capacità tecnica, la solidarietà e il rispetto nel rapporto umano con la montagna.
Attraverso il suo incontro con l'Associazione Iannilli voleva creare un ponte tra la generazione dei vecchi alpinisti che hanno fatto la storia dell'alpinismo su quella montagna ed i giovani che oggi si cimentano con quelle stesse pareti. Lui stesso vedeva negli alpinisti di allora, molti ancora attivi e soci dell'AAGS, i modelli di riferimento ed i maestri da imitare nell'attività alpinistica e nella vita. Nomi come quelli degli aquilani Andrea Bafile e Mimì Alessandri, dei teramani Gigi Muzii e Fernando Di Filippo, degli alpinisti della Sucai Roma Paolo Consiglio, Franco Alletto, Gigi Mario e Silvio Jovane, degli 'alpinisti piceni' Marco Florio, Maurizio Calibani, Peppe Fanesi e Francesco Bachetti e di quelli di Pietracamela come Lino D'Angelo gli sono stati modelli e con alcuni di loro aveva stretto buoni legami di amicizia.
Con Roberto ci siamo visti l'ultima volta a L’Aquila lunedì 11 luglio 2016, 8 giorni prima della disgrazia, in occasione della riunione del gruppo di coordinamento dell'Associazione, organizzata con qualche difficoltà perché Roberto voleva tenersi libero per una salita importante non meglio specificata…Era seduto davanti a me e, sull'argomento di maggiore interesse della riunione - l'assegnazione del premio Targa Alpinisti del Gran Sasso, prevista a novembre - Roberto ci diceva di aver raccolto 5-6 candidature tra i giovani protagonisti di quanto ultimamente realizzato nel gruppo del Gran Sasso e di quanto ancora da realizzare durante l’estate. Estate che non era ancora finita...
Cercando forse di andare oltre il tentativo fatto nel 1996 da Pierluigi Bini, l'"Orco" ce lo ha portato via per sempre.
Nessuno di noi poteva immaginare che quel riconoscimento sarebbe stato assegnato proprio a lui.
Roberto era attratto anche da altre “Muse”. Aperta nel 1998 la via "Nirvana" sul M. Camicia, Roberto ed Ezio speravano di poter ottenere qualche riconoscimento nell’ambito della Rassegna Internazionale del Cinema di Montagna e Avventura, istituita a iniziare da quell’anno a Breuil-Cervinia su iniziativa dagli enti locali e dal mensile ALP della Vivalda Editori. Come sapete questa rivista fondata a Enrico Camanni, ha purtroppo ha cessato le sue pubblicazioni nel 2013, ma il premio ALP/Cervino, poi diventando Cervino Cinemountain - International Filmfestival, Breuil-Cervinia Valtournenche, ha continuato a promuovere la produzione cinematografica e TV rivolta all'esplorazione e alla rappresentazione della cultura e dell'ambiente montano fino all'avventura in tutte le sue forme. Resta il fatto che la loro impresa non fu presa in considerazione.
Gli avvenimenti di questi ultimi giorni, con la tragica scomparsa di Daniele Nardi e Tom Ballard sul Nanga Parbat, mi hanno fatto molto riflettere ed ho trovato delle similitudini tra la figura di questi due grandi alpinisti laziali, in particolare il sogno che li ha accompagnati alla vigilia della tragedia e la loro visione di alpinismo.
Leggendo il racconto di "Vacanze Romane" (nel suo citato “… forse ACCADE COSI’”), colpisce l'episodio del sogno fatto alla vigilia della salita quando Roberto, accucciato nella parte posteriore dell'auto, si immagina di arrampicare lungo un'enorme placca, sempre più ripida, e di scorgere all'improvviso una costruzione attaccata alla roccia con la scritta "Bar Camicia". Entrando riconosce il gestore che ha il volto di Pierluigi Bini. Non penso che il sogno vada visto come un segno di quanto sarebbe accaduto tragicamente 17 anni dopo nel tentativo di cercare la via provata da Bini, ma è sintomatico della mente fantasiosa e creativa di Roberto e della sua ottima capacità di esprimerla in quello che ha lasciato scritto, esaltata dall'attrazione che la Nord esercitava su di lui.
Daniele Nardi, in una sua precedente esplorazione dello sperone (2013-14?), avverte di notte la presenza dello “spirito” di Albert Frederick Mummery, si sveglia per lo scricchiolio dei passi che proviene da fuori la tenda, esce ed è certo che sia lui. E’ come se gli dicesse di andarlo a cercare e che è su quello sperone che ci sono le risposte. Ma quali risposte? Lui cerca solo la vetta, non cerca risposte. Si chiede “Perché è venuto a trovarmi?” Vorrà dirmi che vuole che faccia attenzione?”.
Ma questi, che qualcuno potrebbe credere sogni premonitori, non meritano di essere seriamente presi in considerazione, quello che conta davvero è il senso che entrambi avevano del loro rapporto con le sfide della montagna. In entrambi si coglie la voglia di trasmettere una passione ed uno stile di vita prima ancora che di scalata. All’origine entrambi autodidatti, per poi frequentare un vero corso di arrampicata e passare quindi dall’arrampicata all’alpinismo vero, realizzato sulle montagne di casa (e sul Gran Sasso in particolare) fino alle spedizioni sulle montagne più alte del mondo.
In entrambi prevale la logica dello scalare in stile alpino: leggero, responsabile, etico, l’unico concepibile, spesso in solitaria. Tutti e due fedeli alla traccia lasciata da che li ha preceduti nella difficile arte del salire i monti. Per Roberto mi vengono in mente i suoi idoli di riferimento Mimì Alessandri, Andrea Bafile, Lino D’Angelo, Sivio Jovane ed altri che hanno fatto la storia dell’alpinismo sul Gran Sasso e non solo, per Daniele l’incombente figura di quel grande pioniere dell’esplorazione e delle sfide alpinistiche che fu Mummery appunto, la cui visione del possibile teatro di azione sugli ottomila Himalayani era in anticipo di 55 anni sulla prima salita di un ottomila, ma per tutti e due anche Walter Bonatti e Reinhold Messner con le loro epiche imprese spinte al limite delle possibilità umane, rapportate ai mezzi di allora.
Roberto come Daniele, Luca come Tom se ne sono andati prima del tempo, ma senza dubbio facendo ciò che amavano di più.
MOMENTI SALIENTI DEL PREMIO LETTERARIO
Selezionata la commissione giudicatrice, formata da Alessandro Gogna (presidente), Gianni Battimelli, Renzo Bragantini, Ilona Mesits, Alberto Sciamplicotti, Franco Cravino e Carlo Alberto Pinelli (questi ultimi due poi receduti), il 'Premio letterario Roberto Iannilli' è stato presentato a Roma il 10 febbraio 2017 nel corso della serata organizzata presso la Sezione di Roma del Club alpino italiano, relatore Alessandro Gogna.
All’iniziativa è stato dato ampio risalto con comunicazioni diffuse da una pluralità di sorgenti (notiziari, blog, social network e siti dedicati al mondo dell’alpinismo) e prima della scadenza sono pervenuti 33 elaborati di diversa natura e lunghezza, 32 dei quali sono stati ammessi al concorso.
La consegna delle targhe-premio ai primi cinque classificati è avvenuta il 27 novembre 2017 nel corso della cerimonia organizzata nella cornice dell’evento “Montagne in città” presso l’Auditorium del Seraphicum a Roma. Quella sera un pubblico numeroso e attento, dopo avere ascoltato la mia breve introduzione e l’altrettanto breve resoconto di Gianni Battimelli sul lavoro svolto dalla giuria, ha udito Alessandro Gogna compiacersi per il numero e la qualità degli elaborati, diversi per argomento e provenienti da diverse parti d’Italia.
I premiati, chiamati sul palco da Gogna e Patrizia Perilli, moglie di Roberto, sono stati: Mario Santamaria, vincitore, per “Gioca con te”, Marco Morante, secondo classificato, per “La montagna in mezzo”, Antonio Mariani (presentatosi sotto lo pseudonimo di Gavino Gordoni), terzo classificato, per “Rosacamuna”, Davide Scaricabarozzi, quarto classificato, per “Très jolie passage” e Francesco Saladini, quinto classificato, per “La storia non finisce mai”.
La decisione sui testi da pubblicare nel libro è stata presa dal Direttivo dell’Associazione il 20 aprile 2018 a Roma. A norma del regolamento del premio l’Associazione era tenuta a pubblicare solo l’opera del primo classificato, ma le valutazioni della commissione giudicatrice – che aveva ritenuto tutti i racconti letterariamente validi, alcuni di livello superiore alla media e molti, dopo i primi, di quasi identico interesse – hanno portato a inserire nel libro circa la metà delle opere, comprese le prime cinque premiate (il racconto di Saladini non compare qui perché ha seguito un percorso di pubblicazione autonomo).
Un premio speciale andrebbe attribuito ad Alberto Graia che ha saputo arricchire questa pubblicazione con bellissimi disegni, prova della sua capacità artistica ma anche del grande affetto che lo legava a Roberto alla pari degli altri amici del ‘Pippon Club’ e dei tantissimi che lo hanno seguito per anni sul forum di Placet Mountain.
Ed è ancora nel nome di Iannilli che l’Associazione ‘Alpinisti del Gran Sasso’ ha deciso una seconda edizione del premio, nominandone la Commissione giudicatrice presieduta ancora da Alessandro Gogna al quale va il ringraziamento più sincero per la passione e la competenza con la quale ha seguito e seguirà l’iniziativa.
Sarà una commissione giudicatrice ancora più numerosa, presieduta da Alessandro Gogna e composta da Paolo Ascenzi, Renzo Bragantini, Francesca Colesanti, Linda Cottino, Ilona Mesits, Ines Millesimi, dal qui presente Alberto Osti Guerrazzi e da Alberto Sciamplicotti.
Mi auguro che anche questa volta potremo essere testimoni d’una partecipazione di autori altrettanto nutrita, e forse ancora più numerosa e stimolante.
L’ASSOCIAZIONE ALPINISTI DEL GRAN SASSO
L’ultima assemblea dei soci che si è tenuta l’8 settembre 2018 a Prati di Tivo è coincisa con il sedicesimo anniversario del primo raduno della nostra Associazione che trovò ospitalità all’Hotel Miramonti il27-28-29 settembre 2oo2. C’era la neve, ma l’idea di far ritrovare insieme gli alpinisti che trent’anni prima arrampicavano sulle pareti del Gran Sasso era molto stimolante.
I promotori furono Francesco Saladini di Ascoli, Mimì Alessandri de L’Aquila, Franco Cravino di Roma e i teramani Lino D’Angelo e Peppino D’Eugenio che purtroppo ci hanno lasciato per sempre. I partecipanti furono allora circa 180 e mi emoziona ricordare di aver incontrato per la prima volta alpinisti di eccelsa statura come Andrea Bafile o personaggi noti soprattutto per altri valori, mi riferisco a Salvatore Tirabovi di Teramo, eroe della resistenza, deceduto a 94 anni tre anni fa. Lo sfortunatissimo alpinista ascolano Francesco Bachetti, già in cattive condizioni di salute, tentò di unirsi a noi in occasione di quel primo raduno, ma senza riuscirvi per aver smarrito la strada, morì meno di due anni dopo.
Altri straordinari protagonisti della montagna e della vita sono entrati più tardi a far parte dell’Associazione: Pino Sabbatini, guida e capo del Soccorso alpino di Teramo, travolto nel Canale di Mezzo del Corno Piccolo nel dicembre 2014, e appunto Roberto Iannilli, nostro ultimo e indimenticabile presidente. Fu lui che associandosi nel 2010 ci fece prendere definitivamente coscienza della necessità di rinnovamento per aprirci ai più giovani. Gradualmente, grazie a Iannilli, portatore di nuove idee e dei suoi progetti, dopo anni di raduni, riunioni, incontri, serate conviviali e gite, l’associazione è cambiata.
La formalizzazione del nuovo corso è avvenuta con la modifica del nome da “vecchie glorie” a “alpinisti” del Gran Sasso, decisa dall’assemblea che si tenne a Roma il 12 dicembre 2014. L’ingresso di persone più giovani, in buona parte legate a Roberto, ne hanno consentito l’evoluzione, senza mai mettere in discussione i valori costitutivi e lo scopo statutario del sodalizio che è sempre quello di raccogliere e custodire la memoria di chi ha arrampicato sul più alto gruppo dell’Appennino. Dopo la sua scomparsa, l’assemblea tenutasi a Roma il 14 dicembre 2017, prese atto che molti problemi erano ancora aperti, ma che c’erano le condizioni per trovare gli stimoli e i modi per assicurare all’associazione la sua continuità. Si decise di affidarne l’attuazione al nuovo Direttivo, in quella occasione e portato a 15 membri dai precedenti 13, con la nomina dei nuovi membri che resteranno in carica fino all’assemblea che approverà il bilancio 2019: Vincenzo Abbate, Pasquale Iannetti, Cristiano Iurisci e Alberto Osti Guerrazzi e la conferma di Domenico Alessandri, Gianni Battimelli, Roberto Colacchia, Fernando Di Filippo, Antonio Mariani, Massimo Mizzau, Angelo Monti, Patrizia Perilli (già cooptata in sostituzione di Roberto Iannilli), Domenico Perri, Francesco Saladini e Geri Steve.
Il gruppo di coordinamento riunitosi a Roma il 26 gennaio 2018 per scegliere al proprio interno gli organi sociali, ha deciso di rinviare la nomina del presidente ritenendo necessario prima definire quale associazione avrebbe dovuto presiedere, se cioè un sodalizio più tradizionale focalizzato sulla raccolta della storia dell’alpinismo sul Gran Sasso, magari estesa a periodi temporalmente più vicini, o uno che, oltre alla raccolta della memoria storica, volesse rappresentare l’alpinismo appenninico, ponendosi come piattaforma di comunicazione tra gli alpinisti ancora attivi nel gruppo, senza con ciò sovrapporsi alla struttura del CAI.
E’ un tema ancora aperto, ma prevale tuttavia l’idea che l’associazione non abbia esaurito il suo compito perché, se non altro, molte testimonianze storiche vanno ancora raccolte e altre se ne aggiungono ogni giorno.
Fu il Gruppo di coordinamento nella riunione indetta d’urgenza a L’Aquila il 18 agosto 2016, a chiedermi di fungere provvisoriamente da presidente. E’ un incarico che si sovrappone a quello di Segretario, ma che ho accettato per spirito di servizio per assicurare la continuità dell’Associazione con la presenza degli organi sociali essenziali, ancorché concentrati nella stessa persona. Da allora sono passati più di 2 anni …calza molto anche in questa situazione il detto che non c’è nulla di più definitivo del provvisorio.
Quanto al futuro dell’Associazione mi auguro che, in continuità con la linea di rinnovamento di Iannilli, il suo ruolo e le iniziative promosse, tra cui i premi (letterario e Targa) possano consolidarsi, specie se in assenza di altri premi del genere in Italia Centrale, e con la possibilità di attribuire riconoscimenti a qualsiasi altra significativa iniziativa che valorizzi l’alpinismo in Appennino.
Ad oggi l’Associazione conta 131 soci, circa la metà di Roma, ma, se si aggiungono i simpatizzanti e gli amici che partecipano alla vita dell’Associazione ricevendo regolarmente le comunicazioni e gli avvisi degli eventi organizzati e i resoconti degli stessi, il gruppo è molto più consistente. Il numero è rimasto invariato grazie all’ingresso di nuovi soci come Osti e Abbate che hanno bilanciato la dolorosa scomparsa di altri, tra i quali ricordo Giancarlo Negretti e di Gigino Muzii.
Roberto Colacchia”
La sala affollata durante la presentazione
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